The unlovable

Musica da trip, tipo Morcheeba.. note da canna, tipo Massive Attack.. distensione emotiva, tipo Flunk. Dopo due mesi di duro allenamento e salvaguardia di una assennata alimentazione riguadagno le forme dissimili dalle piante appartenenti alla famiglia delle Solanaceae e quel che mi fa più piacere constatare è che lo sforzo profuso non mi ha stressato. Buon segno per chi come me è soggetto ogni tanto a quelle effimere e pericolosamente repentine sollecitazioni da esaurimento o logorìo, frutto di una tensione che non mi sono mai spiegato. Ogni tanto quello che mi capita è la stessa cosa che accade nelle canzoni da aperitivo in un locale con le luci soffuse, tipo le 23:35, per intenderci. Quella specie di motivetti accattivanti, arricchiti da linee di basso suadenti e da voci femminili che farebbero arrapare anche un castoro svizzero in cura da uno psicologo e consumatore di farmaci antiepilettici in dosi massicce. Esistono, ben celati tra le melodie di questi brani, degli inserti vocali campionati non immediatamente percepibili da un orecchio distratto, ma assolutamente manifesti per una mente abituata a cogliere anche le più piccole briciole delle fette di pane e groove. Si chiamano messaggi subliminali. Sembrano non arrivare, ma arrivano. Sembrano non incidere come una percossa data con la sferza e invece incidono e come. Solo che ci mettono un po’ di tempo, come ombre che memorizzi e che riaffiorano soltanto al momento opportuno, come elementi calligrafici al succo di limone che attendono solo la fiamma per rivelarsi nella loro disarmante chiarezza. There’s wild berries in the hedgerow, all I need is a drink, got to soothe my shattered senses, please forgive me, time to think. Sono involuzione, collera e abuso…sono colpa, sono crimine e sono rammarico. Sono Arturo e sono Flora. Sono pervicacia, sono ostinazione, sono sopruso e arroganza e si, sono anche iris alla ricotta con gocce di cioccolato. Sangue come limonata, ogni cosa nuova non è più una sorpresa, non posso meravigliarmi che certe cose accadano se sono io stesso a far sì che accadano o, peggio ancora, a lasciare che accadano. L’ultimo grido dell’ipertecnologia che soffoca ogni singolo respiro che emetto mi regala un prodotto innovativo, una superficie levigata a specchio dentro la quale ammirare, nonostante ogni desiderio di riscatto, il riflesso di un animo profondamente sbagliato. Ho un forte sospetto: ho il mondo che mi merito.

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