L’orso Yoghi e le 40 erbe

Non capita tutti i giorni di ubriacarsi di scaloppine, prendere a morsi un liquore bosino a base di agrumi, inalare briciole di Spritz e andare in giro con due salsicce di cinghiale in tasca fino a tarda notte. A me è successo…ed ho pure assecondato la digestione come un degno banditore da Mercante in Fiera, ovvero con un “numero imprecisato” di bevande ottenute da svariate droghe vegetali.

Looks can be deceiving. Ho del tutto rivalutato l’amaro Montenegro. L’avevo sempre classificato come “troppo dolce”…ma evidentemente – e non è una novità – le apparenze ingannano… le cose bisogna conoscerle…e ancor di più, bisogna desiderare di conoscerle…è così che il nostro istinto brama complicità ed alchimia…è questione di intuito, altro che “sapore vero”.

Bene, scordatevi lo spot televisivo – commercialmente azzeccato, ma stra-gran minchiatona emotiva – e concentratevi sulla forma della bottiglia: una sorta di ampolla…che evoca proprio una “pozione“….per questo il suo nome originale, quando venne creato nel 1885, era “Elisir Lungavita“…suona come qualcosa di magico, no? Ed il suo nome attuale è solo merito di una allora giovane donna alla quale venne dedicato questo brillante miscuglio alcolico di erbe aromatiche. Era una principessa.

Facciamo un gioco, principessa: chi distoglie prima lo sguardo, perde. Ed io non voglio perdere. Continuo ad assaporare quell’elisir e a fissarti. Voglio perdere la lucidità di giudizio. Voglio che la sbornia diventi una scusa per caldeggiare la mia irrazionalità. Assaggiare, dopotutto, è sete di conoscenza, sinonimo di interesse, sintomo di curiosità (Sicilia mia, esci fuori)..ed io curioso, sono. Si, soffro di piccoli disturbi ossessivo-compulsivi, ma so dare importanza ai piccoli gesti. Sono paranoico, ma so contemplare un sorriso. Sono vittima di perdite di memoria a breve termine, ma quello che voglio ricordarmi, me lo ricordo bene. Ognuno ha le proprie debolezze. Ognuno ha i propri segreti.

Io so tenere un segreto. Ma riesco a custodire un tesoro?..ho piena percezione di cosa sia un dono. Ma sono capace di comprendere quanto esso sia prezioso e raro? È come essere certi di che tempo farà domenica. Non posseggo di sicuro la penna stilografica del maresciallo Giuliacci, ma per lo meno posso improvvisare una “danza del sole”…perché altrimenti per asciugare il mio doppio bucato del weekend mi ci vorrebbe un numero di giorni pari alle lentiggini che spesso addobbano un viso candido e lattescente. Quasi mi commuovo.

Ecco, è l’ora della prima commozione. Sono le 7:49 e il bar Marchetti pullula di personaggi improbabili che mi lasciano indifferente, esattamente come il caffellatte all’odore di colla. Ma non la colla buona come l’inconfondibile Coccoina, che si insinuava in modo prepotente tra le narici e mi regalava assuefazione…no, non esistono più le colle di una volta. E neanche i Collie. E nemmeno i collant. Tantomeno i croissant.

Le paste dolci breakfast-style, al giorno d’oggi, sono simili in tutto e per tutto a determinati sentimenti univoci e monodirezionali: si congelano facilmente e si scongelano all’occorrenza.

Tre gradi sotto zero. Mi accingo a fare le scorte per l’inverno, come un orso che si prepara al letargo, ma pasciuto come se avesse residenza in Trentino alto adipe.

La scatola di cioccolatini Lindt è finita. Andiamo in pace.

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